Quindi Stefano Gabbana ha detto una cosa giusta: i social non possono guidare il posizionamento di un brand. Non possono diventarne il motore. Un brand-banderuola non va lontano. Un brand — soprattutto nel lusso — dovrebbe avere il coraggio di non ascoltare le sirene degli algoritmi ma di rafforzare invece la propria identità, a costo di perdere qualche numero. Le opere e i brand più memorabili sono sempre nati dal coraggio e da un po’ di follia, non dal soddisfacimento di una lista di criteri. Di sicuro non dalla ricerca quotidiana e un po’ tossica di un applauso del pubblico (non) pagante.
Quello però che un brand non può sperare di fare, uscendo dai social, è di sottrarsi in questo modo alle critiche, come quelle violentissime che hanno colpito D&G: anche se la nostra comunicazione nasce senza guardare i social e magari non li sfrutta per la promozione, ci finirà comunque. Qualcuno la registrerà, la filmerà, la condividerà. E in ogni caso sarà analizzata, spezzettata, parodiata, remixata, se va bene mitizzata.
Le regole ormai sono queste: creiamo dei brand originali, coraggiosi e memorabili. Poi mettiamoli in gioco.