Sta succedendo qualcosa, nel mondo del fashion e in particolar modo nella comunicazione dei marchi di moda. Un fenomeno apparentemente superficiale, ma che ci dice moltissimo su questo mercato: da immagine, la moda sta diventando racconto.
I fashion brand adesso vivono di storie
Protagonisti di questa trasformazione sono stati in prima battuta i fashion film: cortometraggi, spesso commissionati a registi di spicco, in cui i capi d’abbigliamento sono onnipresenti ma non protagonisti, al massimo comprimari. A guidare sono la storia, gli attori (spesso stellari) e le scenografie (da urlo).
Come obiettivi, il fashion film non si allontana troppo dalla fashion photography: mostrare i capi di abbigliamento e legarli a un mood specifico e indimenticabile. I vantaggi, però, sono numerosi:
- the game of cross-referencing with the world of cinema widens the potential audience, also by virtue of the director’s fame;
- the video allows to tell a richer, more articulated and therefore more memorable reality;
- finally, the video is a much more suitable tool for digital diffusion, therefore essential to bring the messages of fashion to the millennial audience.
Vediamo qualche esempio.
Questa crescente familiarità del fashion con il racconto, maturata negli anni, ha ultimamente iniziato ad ampliare il suo dominio. Prima infatti si limitava ai fashion film di cui abbiamo parlato: in molti casi, prodotti distinti dalla comunicazione di prodotto.
Oggi, invece, questo linguaggio arriva sempre più vicino alla comunicazione di prodotto. Pensate alla collezione Gucci AW 2017, interamente ambientata in un universo retrofuturistico in cui i modelli diventano improbabili alieni. Il mondo di riferimento qui si è allargato fino a comprendere gli scatti di collezione, altro che fashion film. Non a caso, Gucci sta registrando un notevole favore tra i millennial, abituati a consumare storie, non importa quanto assurde. Qualche numero? Secondo il WSJ, il 55% delle vendite di Gucci è riconducibile ai millennial. Inoltre, nel primo quarter del 2018 (quindi subito dopo la campagna “aliena”) le vendite sono cresciute del 46%. Il che non è casuale, perché pare che il direttore creativo Alessandro Michele abbia assoldato una vera “commissione di millennial” per valutare la creatività della maison.
Oppure, prendiamo il caso di Zegna, che ha presentato la sua ultima collezione con una storia a puntate che vede protagonisti due super-attori del calibro di Javier Bardem e Dev Patel, nei panni di due amici che si incontrano per le strade di Madrid. I video fanno parte della serie “Defining Moments” che aveva già visto protagonista l’anno scorso Robert De Niro, ma l’aspetto interessante è che su Facebook e Instagram questi video sono di fatto un catalogo animato, perché usati in formato shoppable: ovvero con i link alle pagine prodotto di tutti i capi che appaiono a schermo.
Cosa ci dice questo fenomeno? Che i brand fashion e luxury, oggi, non possono più puntare unicamente sull’estetica, elemento che per la generazione Instagram è sovrabbondante e a buon mercato. Per aggiungere valore, devono creare storie e inventare mondi. Devono, in poche parole, coinvolgere nella creatività elementi esterni, magari “alieni” al mondo della moda. Perché solo contaminandosi resteranno rilevanti.
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